Grazie a te, Damiano! È un piacere essere ospite di questo tuo bel sito, un saluto anche ai lettori. Mi definisco un fotografo di montagna perché la montagna è il mio soggetto; è solo lì che amo prendere in mano la fotocamera. Forse perché ogni volta mi sembra di recarmi su un pianeta remoto e come temporaneo visitatore mi diventa istintivo testimoniare ciò che vedo, cose che il più delle volte paiono oggettivamente così distaccate da tutto ciò che mediamente si può vedere in pianura da far pensare effettivamente a mondi ultraterreni! Fortunatamente, a gran pregio del pianeta in cui viviamo, tutte le mie foto sono scattate sulla Terra! L’infinita bellezza che ritraggo è lì, tra gli alti monti, a disposizione di tutti (purché in salute, con allenamento fisico e spirito d’avventura). Il mio approccio alla fotografia è stato graduale. Da piccolo andavo in vacanza ad Ulzio, in alta Valsusa (Piemonte), e dopo le prime escursioni, fatte ovviamente coi miei familiari, non mi sono più fermato :-) La connessione mentale tra montagna e fotografia è avvenuta una sera: ero ragazzo e stavo scendendo dal Rocciamelone (la montagna più alta della Valsusa). Essendomi fermato parrecchio in vetta ero piuttosto in ritardo rispetto alla mia tabella di marcia, così mi sono imbattutto in un bellissimo tramonto. Ero ancora nell’ottica “si va in montagna solo di giorno”, come fanno molti, quindi ammirare quel tramonto da ben sopra i 3.000 metri mi ha veramente segnato, tanto che ho pensato: “Chissà che bello fotografare questo spettacolo!”. Dopo quella volta ho iniziato a portare con me una compatta, poi una semi-professionale e, negli ultimi undici anni, una fotocamera professionale. A tutti gli effetti la mia attrezzatura fotografica si è evoluta di pari passo con la mia passione e coi miei studi. Mi sono fatto le ossa scattando foto di giorno, poi albe, tramonti, ora blu… sino ad approdare per naturale estensione alla fotografia notturna in alta montagna, che mi ha letteralmente stregato per il fatto di poter immortalare ambienti inusuali ad orari inusuali… e poi, diciamolo, i momenti vissuti in montagna di notte sono i più belli in assoluto! Inspiegabili a parole. Pertanto sono stato tra i primi italiani ad occuparmi con estrema serietà di questo genere fotografico, che ho portato avanti con constanza, creando nel tempo un bagaglio d’immagini vasto e specifico (http://www.robertobertero.com/night-photography). Per chi fosse interessato, nel blog del mio sito ho anche stilato un dettagliato tutorial circa la fotografia notturna sulle Alpi. Il tuo approccio con la fotografia e soprattutto con la montagna è spesso “solitario”, c’è una ragione particolare? Amo il silenzio che la montagna sa offrire, che può esser vissuto solo se si è da soli (o con una persona così vicina a sé con la quale si può condividere questo stato di grazia). Far esperienze montane in gruppo è anche una cosa positiva, ma principalmente di transizione/formazione. Crescendo, con lo svilupparsi anche della mia attività fotografica, ho ritenuto opportuno far delle scelte. La montagna vissuta in solitaria è una ricerca dell’essenziale. Solo facendo vuoto attorno a me (nel senso orientale del termine) riesco a trovare il giusto equilibrio per diventar tutt’uno con l’ambiente, concentrarmi, osservare e fotografare. Inoltre le alte quote sono impregnate di solitudine, perché inospitali. Solo vivendo in prima persona la solitudine dei monti si può sperare di renderne in foto l’animo più intimo, immateriale ed infinito. Da profondo conoscitore delle Alpi e della montagna, cosa cerchi di trasmettere con le tue foto? Ti ringrazio per avermi promosso a profondo conoscitore delle Alpi!… Guarda, se paragonate alle epiche imprese dei veri grandi conoscitori al confronto le mie esplorazioni d’alta quota, seppur a volte evolute, sono vere e proprie Toccate e Fughe (e detto da un organista professionista questo termine vale!). Spero d’esser diventato un ascoltatore della montagna, questo sì. Molto onestamente cerco di trarre il meglio da queste mie visite, innanzitutto come vissuto personale e poi anche in termini di documentazione fotografica. Parlo di documentazione, piuttosto che di lettura artistica, perché prediligo le foto sostanzialmente semplici, ma certo non semplicistiche. Non tendo a far l’ennesima foto pomeridiana al lago alpino tal dei tali, così come non mi andrebbe immortalarlo in modo artefatto. Perché entrambe le tendenze portano inevitabilmente ad un’omologazione. Solo fotografando la natura quando dà il meglio di sé si può fissare in camera qualcosa di volta in volta unico. Per riuscire in questo intento devo tornar più volte nei miei luoghi preferiti e attendere il momento magico, atmosferico e di luce. Questo comporta indicibili fatiche, ma un solo scatto giusto ripaga sempre di tutti gli sforzi e motiva a compierne altri. Cerco di trasmettere una montagna di sostanza, né scontata, né ostentata, direi intimista… un po’ nostalgicamente desidero vivere momenti rari e “portarli via con me”. Roberto tu sei anche un musicista e tieni concerti in luoghi spesso carichi di storia, in che modo la musica influenza la tua visione fotografica? Ti chiedo questo perché nelle tue foto ho notato una forte armonia… Grazie, mi fa piacere! A mio avviso la musica è “il linguaggio dei suoni nello spazio” mentre la fotografia è “il linguaggio della luce sulle forme”. Due linguaggi quindi, che necessitano di regole per comunicare. In musica lo studio dell’armonia implica l’analisi degli accordi, tonalità, modulazioni e loro relazioni in base appunto a regole precise; ci vogliono anni prima di poter comporre o improvvisare. Anche nella fotografia ci vogliono anni per allenare l’occhio ad osservare la scena in modo critico, applicando le classiche regole dei terzi, sezione e spirale aurea. Sarà deformazione professionale, ma mi piace pensare ad una sorta di applicazione dell’armonia musicale nella fotografia, intesa come analisi della correlazione tra gli elementi in causa. Motivo per cui non sovraccarico mai troppo le mie inquadrature, perché sono consapevole che tanti più elementi includo, tanto più alto sarà il rischio che l’armonia tra essi vacilli… che qualcosa risulti anche poco fuori posto, d’ingombro, o, pur nella sua bellezza, l’immagine generale risulti disarmonica, perciò da cestinare. Infatti il classico errore del fotografo alle prime armi (e non solo) è voler includere troppo se non “tutto” nella scena, mentre fotografare con criterio significa saper scegliere. È un po’ la differenza che passa tra un discorso conciso, che poi ricorderemo, e una filippica di mezz’ora che non lascia il segno. Come mai hai scelto il colore e non il bianco e nero? Al momento ho realizzato più foto a colori, ma non ho marcate preferenze tra colore e bianco e nero; sono entrambi due grandi modi di raccontare le immense diversità presenti in natura. Qualcosa mi dice che in molti casi non me la sono sentita di rinunciare alle meravigliose sfumature di colore che albe e tramonti sanno offrire (e chiunque abbia vissuto per bene la montagna sa di cosa parlo), inoltre nel tempo ho notato che la notte è già praticamente priva di colore, perlomeno ai nostri occhi. Non a caso alcuni scatti notturni li ho postprodotti in monocromatico, per avvicinarmi a quel senso di pressoché totale assenza di colore tipico di ciò che l’occhio umano percepisce in condizioni di grande oscurità; moltri altri invece li ho mantenuti pressoché inalterati, per mostrare quanto sia affascinante anche in termini di colori il mondo delle lunghe esposizioni (con le quali è possibile scoprire cose che i nostri occhi non vedono!). Quindi, mediamente, se sul posto percepisco un maggior dialogo tra varietà e sfumature di colori che mi dicono “ehi, non ci dimenticare!” la foto resterà a colori, se invece la scena si presenta ricca di chiaroscuri che mi dicono “valorizzaci, valorizzaci!” allora tratterò l’immagine in bianco e nero. Lavori per riviste di settore? Se si, in che modo influenzano la tua visione e la tua creatività? Ho collaborato più volte con “Meridianie e Montagne” e con varie altre testate. Però sempre in maniera occasionale. Ne approfitto per segnalare che altre riviste (sovente nel tanto mitizzato estero) con gran disinvoltura mi hanno invece richiesto materiale fotografico in cambio del nulla (!!!). O hanno supposto che foto fatte a 3.500 metri alle 3 di notte si fossero materializzate d’incanto dentro il mio hard disk, oppure abitualmente trovato fotografi disposti a ceder loro gratuitamente i propri lavori, che è pure peggio. Perché se il mercato si deteriora parte della colpa appartiene anche a chi si svende, non solo a chi ne approfitta. Come il microstock, che ha fatto arricchire pochi (le “grandi” agenzie fotografiche mondiali) e lasciato molti con un tozzo di pane o poco più (i “piccoli” fotografi); accentuando così anche il divario tra “foto qualsiasi” e “foto d’autore”… ma le foto “qualsiasi” sono veramente tutte qualsiasi? E le foto “d’autore” sono veramente tutte d’autore? Negli ultimi anni il mercato è sicuramente cambiato, in moltisimi settori. Com’è accaduto con l’evoluzione della specie non spetterà al più forte (o al più bravo) continuare a vivere, ma a chi saprà meglio adattarsi. Per far questo, e non subire passivamente, penso sia doveroso educare il proprio gusto estetico, dotandosi di strumenti per un’analisi oggettiva. In musica questo è assolutamene fattibile, non a caso sono solito dire ai miei allievi che “la qualità musicale non è mai un’opinione” e così è, al di là dei gusti, delle mode e dei diktat dei pochi. Anche in campo fotografico cerco di muovermi con medesima consapevolezza. Per rispondere alla tua domanda, mantengo la mia attività svincolata da qualsiasi influenza che potrebbe variarne la spontaneità ed autenticità iniziale; mi sento sollevato di poter produrre in piena autonomia. In genere come condividi le tue opere? Ho usato e uso ancora adesso saltuariamente DeviantArt, una piattaforma ricca d’artisti, ma, più che altro, sono iscritto a Flickr dal 2007. Uno, se non il primo social di “condivisone fotografica”, poi nel tempo ne sono nati molti altri, pubblicizzandosi in fase di lancio come più “puri” “mirati” “professionali” e via discorrendo. Ma ‘ste piattaforme dopo un po’ sono tutte uguali, perché il concetto stesso di “condivisone” a livello sociale è alquanto utopico; in quanto se un fotografo condividesse veramente le sue foto (duramente sudate) poi sarebbe giusto aspettarsi che anche un benzinaio condividesse il combustibile, poi magari pedaggi gratis e possibilità di condivisione cibo per tutti… insomma un ritorno al baratto. Se leggiamo invece la “condivisione” come un espediente per dar visibilità ai propri lavori, ecco che la terminologia diventa più onesta e coerente, in linea con ciò che fanno molti colleghi. Penso sia sempre meglio chiamare le cose col loro vero nome. Che approccio hai con la tecnologia e con gli strumenti fotografici? Li vedo come strumenti per un fine ed è il fine che ovviamente mi interessa. Gli strumenti sono, come dice il nome, strumenti. Anche in campo musicale, nello specifico quello organistico, non esiste un organo a canne che sia uguale ad un’altro, sovente le tipologie di costruzione sono così differenti da creare notevoli diatribe su quale sia “l’organo a canne più autentico”. Adesso non voglio tediare i lettori, ma questo penso lasci facilmente intuire quanto troppo spesso utilissime energie vengano sprecate, quando invece nello specifico sarebbe meglio impiegarle per pensare alla musica e a ciò che si vuole comunicare. Lo stesso vale in campo fotografico. “Cosa voglio fotografare? Cosa voglio dire?”, trovata una risposta a questi quesiti sarà poi cosa semplice individuare un corpo macchina e lenti che facciano al caso nostro, anziché perdersi in un feticismo da strumento che non porta da nessuna parte. In conclusione, il mio approccio con la tecnologia è pratico: la uso per i miei fini. Montagna, significa anche isolamento e condizioni ambientali estreme, dal punto di vista tecnico come superi questi problemi? penso alla durata delle batterie, alla condensa nelle fotocamere, ecc. Generalmente per giri di due/tre giorni ho con me due batterie, a volte tre. Ma devo riconoscere che le batterie della Canon 5D Mark II durano molto, anche a temperature rigidissime. Quindi sotto questo aspetto non sono mai rimasto “in panne”. Le condizioni ambientali estreme si riperquotono più che altro sull’intera esperienza alpina, nel senso che se fa freddo, veramente freddo, tipo -25° più raffiche di vento, stare all’aperto diventa un autentico supplizio. L’utilizzo obbligatorio dei guanti complica anche le azioni più semplici. Inoltre è fondamentale che nulla si bagni altrimenti ghiaccia all’istante. Perché un conto è visitare l’alta montagna di giorno, diciamo il classico giro dall’alba al tramonto durante il quale si è sempre in movimento, tutt’altro conto è stazionare sul posto, specie se di notte quanto la temperatura crolla! Ad ogni modo con la giusta attrezzatura (non da supermercato) si riesce a sfangarla e a vivere esperienze sicuramente uniche. Quanto credi sia importante il lavoro di editing delle foto? In genere come ti approcci? L’editing è la chiosa conclusiva di un ben più ampio discorso. Ecco il procedimento che uso per realizzare i miei scatti: 1) Nascita di un’idea: ad esempio “voglio fotografare le Torri del Vajolet”. 2) Pianificazione: reperire informazioni sul posto e su come raggiungerlo. Documentarsi sul meteo, sull’esposizione ai punti cardinali, come si presenterà il cielo notturno, etc. 3) Procedere a vie di fatto: con impiego di risorse, tempo, conoscenze, denaro, ore di macchina e, trattandosi di fotografia di montagna, tanto sforzo fisico e mentale. 4) Attività sul posto: adattarsi alla location (io vado sempre quando i rifugi sono chiusi). Attenta analisi di ciò che il luogo può offrire. Sessione fotografica quando la luce merita. 5) Una volta a casa: valutare l’editing necessario, mai invasivo, nel rispetto dell’arte suprema propria della natura e della dedizione impiegata per aver quel file nel computer. Questi sintetici punti spero possano contribuire a far chiarezza sulla mole di lavoro che c’è dietro una foto paesaggistica in montagna (e non mi sono addentrato negli aspetti alpinistici). Chi pensa che tutto possa manifestarsi con due colpi di photoshop è completamente fuori strada. A mio parere l’editing serve principalmente a compensare i limiti intrinseci delle nostre fotocamere, che, per quanto performanti, sono ancora ben lungi dall’esser perfette. È anch’esso uno strumento e tutto dipende dall’uso che se ne farà; se sarà consapevole e mirato (così come si spera sia stato l’uso della fotocamera sul posto) potrà rivelarsi una possibilità espressiva in più. Non a caso celebri fotografi del passato hanno saputo effondere un tocco personale alle proprie opere anche grazie alla fase di fotoritocco in camera oscura. Solitamente ti dedichi tu alla post produzione dei file e/o alla stampa o preferisci affidare il lavoro ad uno stampatore esterno? Della post produzione mi occupo personalmente, anche perché, come ho citato, deve avere un tocco personale, il quale spetta all’autore e a nessun’altro. Per la stampa invece mi riferisco a professionisti del settore. Ogni fotografia presente sul mio sito è acquistabile, stampa e spedizione sono a cura di Fotomoto, fondato nel 2008 e acquisito da Bay Photo Lab nel 2013. I servizi digitali di Bay Photo Lab, in California, derivano da una lunga storia (quasi 40 anni) di servizi di stampa e finitura fotografica. Se dovessi dare 3 consigli ad un fotografo che vuole approcciarsi al paesaggio, che consigli daresti? Gli stessi consigli che ho dato a me stesso: 1) Non smarrirti nei meandri di ottiche e corpi macchina. Scopri cosa ami veramente fotografare e vai a far esperienza sul campo. 2) Non studiare solo l’operato dei grandi fotografi, ma di chiunque ti colpisca. Cerca di capire cosa rende unico il loro lavoro. 3) Non fotografare per cercar consensi. Scatta solo per te e per render giustizia ai tuoi soggetti. Sii molto critico e selettivo sui risultati. Tre “non” in partenza, perché per fare alle volte bisogna sapere cosa scrollarsi di dosso. In questo periodo stai lavorando a qualche progetto in particolare?
Visto che il mio progetto è fotografare le montagne, oltre a ritornare regolarmente nei posti che già conosco (sperando di poterli cogliere con sempre maggiori capacità e in momenti sempre più particolari) ho una lunghissima lista di luoghi nuovi da visitare. Di recente ho anche pensato che non sarebbe male abbinare alcune mie tournée di lavoro (non dimentichiamo che sono principalmente un musicista) con escursioni in eventuali zone montuose limitrofe. Sino ad oggi mi sono sempre un po’ “limitato” nel visitare le grandi città del mondo, ecco sicuramente sarebbe un gran valore aggiunto trovare tempo e mezzi per esplorare anche il lato wild di varie zone del pianeta. Vedrò il da farsi. Una cosa è certa, più riuscirò ad abbinare le mie due grandi passioni, musica e fotografia, e meglio sarà! |
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