La resilienza può essere definita come la capacità di un sistema di ripristinare il suo stato iniziale dopo essere stato sottoposto ad un evento disastroso che ne ha rapidamente mutato le condizioni, le alterazioni possono essere causate sia da eventi naturali sia da attività antropiche. Sono trascorsi quasi cinquant'anni e forse non saranno sufficienti altri cento affinché il territorio si riappropri dei suoi spazi, ma prima o poi il sale del mare e la vegetazione riusciranno ad inghiottire tutte quelle tonnellate di acciaio e cemento scaricate dalla sete di affarismo lungo le spiagge di Saline Joniche. E' una brutta storia quella della Liquichimica Biosintesi di Saline Joniche, una storia come se ne sentono in Italia, solo al sud. Stretto di Messina, costa calabrese, una storia che inizia nel 1971, quando l'allora presidente del consiglio Emilio Colombo da inizio a quel vasto piano di investimenti ed industrializzazione che avrebbe dovuto trasformare il profilo occupazionale ed economico di una delle province più depresse d'Italia, trecento miliardi delle vecchie lire inondarono Reggio Calabria e provincia, stimolando l'appetito delle cosche locali. Giardini di bergamotto, profumo di gelsomino, mare incantevole, gli aironi fanno sosta lungo il cammino. Quando iniziarono a costruire la Liquichimica furono devastati due chilometri di costa e settecentomila metri quadrati di territorio. In soli due anni venne edificato tutto, un’opera immensa, insieme allo stabilimento si costruì un porto che doveva servire alla movimentazione di tutte le merci, quest'ultimo si dimostrò un'opera a dir poco catastrofica, poichè, a causa di macroscopici errori ingegneristici, l'insenatura portuale finì ben presto colma di sabbia. Le autorità locali di Reggio Calabria, dal canto loro, avevano curato la costruzione di una grossa presa a mare per il raffreddamento degli impianti, la trivellazione di diversi pozzi e di vasche di raccolta per l'acqua dolce. La Liquichimica invece costruì lo stabilimento, completo di tutto, assolutamente all'avanguardia, una torre fumaria di 174 metri che imperiosa svetta ancora oggi, una centrale elettrica per l'autoproduzione di energia, serbatoi, cisterne, laboratori chimici. Lo stabilimento fu portato a termine nel 1973, vennero assunti circa settecentocinquanta lavoratori e la produzione cominciò solo per piccole quantità sperimentali, bioproteine per alimentazione animale. Incredibilmente solo dopo avere speso quel fiume di denaro, l'Istituto Superiore della Sanità concluse che la produzione era altamente inquinante, vietando la messa in produzione dei mangimi, ritenuti cancerogeni. Tutto si fermò, nel 1977 il definitivo fallimento. I dipendenti assunti entrarono per direttissima in cassa integrazione, la più lunga della storia della Calabria, che in termini di stipendi, costò allo Stato italiano circa due miliardi di lire. Nonostante l'impossibilità di avviare la produzione, alla luce dell'immenso costo dell'opera, si continuò a fare manutenzione in attesa di una riconversione che nessun governo fu mai in grado di compiere. I costi lievitarono, cifre incalcolabili, che comunque non risparmiarono allo stabilimento un destino di totale abbandono. Attrezzatura utilizzata:
Sigma Dp1 quattro, filtro Hoya Pro1 ND 32, filtro Hoya Pro ND 500, treppiedi. Sono arrivato alla Sigma Dp1 Quattro dopo aver posseduto diverse fotocamere (Canon, Nikon, Fuji), inseguendo generi fotografici e soprattutto qualità d’immagine, finalmente adesso non pensò più alla fotocamera quando scatto, difficilmente la Sigma tradisce. La sua semplicità, la qualità e la naturalezza delle immagini che regala è difficilmente paragonabile ad altre macchine. Caratteristiche e "limiti" sono esaustivamente spiegate nelle vostre recensioni, io la uso prevalentemente in iperfocale. |
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