AVVENTURA IN INDIAKai Stuht, noto fotografo di celebrity, moda e campagne pubblicitarie, aveva una missione: testare la Lumix S1R. In India è tutto diverso da come siamo abituati in questa parte di mondo: rumori assordanti, aria polverosa che graffia i polmoni, una povertà assoluta che fa a cazzotti con una ricchezza esagerata, colori che spiccano su uno sporco più nero del nero. E poi dialoghi senza alcun filo logico, come in nessun altro luogo al mondo. Il fotografo di moda Kai Stuht racconta la propria esperienza nel Paese asiatico. In India bisogna solo affidarsi al fato, non c’è altro modo: girare in moto o in auto equivale a una roulette russa, dove il massimo che si può fare è prepararsi a morire e rallegrarsi se invece fila tutto per il meglio. La burocrazia è complicata come in nessun altro luogo al mondo. La gente è sempre pronta a elargire pareri e congetture, e le regole abbondano, anche se tutti le infrangono di continuo. Realizzare un servizio fotografico per la galleria Lumas e mettere in piedi la nuova campagna per Lumix S1R in questo putiferio è un’avventura più unica che rara, dove il rigore e l’ossessione per la produttività di noi europei si scontrano con le “evenienze” indiane... ...Mi attendevano le sei settimane più dure della mia vita e alla fine di tutto dovevo pure ricavarne qualcosa di artistico. Una missione impossibile. Un po’ come guidare una motocicletta sulle strade indiane a occhi bendati, per poi rallegrarsi di essere sopravvissuti. Come si fa, in India, a trovare la giusta location? A trovare dei sarti in grado di confezionare gli outfit necessari? Come si fa a ottenere un’autorizzazione per le cose più semplici? L’unica risposta che mi sento di dare a queste domande è: usando l’istinto. Abbiamo attraversato il Rajasthan in moto. Perché in moto? Perché solo così l’avventura è completa: la polvere della strada sulla pelle, il caos senza filtri. Il nostro viaggio ci ha portato a Jaipur, Jodhpur e Jaisalmer, fino a un piccolo forte nei pressi del confine pakistano, e poi da lì al forte di Mohangarh, in un posto fuori dal mondo. Dopo molte domande, abbiamo capito di trovarci davanti a un campo minato della zona di demarcazione militare a ridosso del confine pakistano. Su molte cose gli indiani sono rilassatissimi, ma con i loro fratelli pakistani hanno un enorme problema. Veloci come il vento abbiamo puntato di nuovo verso Jaisalmer, senza nemmeno sospettare che quella esperienza si sarebbe ripetuta. Come si fa a raggiungere una location da sogno nel bel mezzo di una zona militare, che per giunta appartiene a un autentico maragià? Alla fine sono riuscito a ottenere un incontro con il principe di Jaisalmer. Una storia da mille e una notte: tutto sembrava scorrere liscio…
Dopo un’opera di persuasione e una congrua offerta economica per l’agognata location, occorreva assoldare un collaboratore autoctono esperto di antiquariato. E prendere il treno per tornare a Delhi. Solo lì potevamo trovare le grandi sartorie capaci di trasformare i nostri tessuti JAB Anstoetz in abiti speciali. Purtroppo il budget bastava giusto per diciotto abiti fatti a mano. Esiste infatti un unico intermediario che si occupi di fornire abiti da sposa alla crème de la crème indiana: Frontier Raas. Le sue otto ricamatrici lavorano per un anno intero a un singolo abito, in cambio di una cifra sufficiente a comprare un SUV di classe. La visione iniziava a prendere forma: dopo aver concluso un affare per 36 abiti – messi a disposizione gratuitamente – e alcuni disegni, ci siamo rimessi in viaggio verso Jaisalmer. Motivati come non mai, abbiamo iniziato a sbrigare le ultime faccende in vista dello shooting. Piano piano ogni cosa diventava realtà: l’agenzia, il mio team, le splendide modelle. della società russa ML Management. E alla fine ci è apparso tutto nella sua magnificenza, come l’onda più grande della vita per i surfisti: hai un solo tentativo, o la va o la spacca. Tutto era pronto. La location da 5000 metri quadri era stata tirata a lucido. I due camion con le apparecchiature e il materiale di scena erano arrivati alla location concordata, distante 100 chilometri. I cavi elettrici erano stati collegati, le luci montate, la tabella di marcia studiata in ogni minimo dettaglio. Il servizio fotografico più grande e più arduo della mia vita poteva cominciare. Se non che la sera prima ci accorgiamo che manca il permesso più importante, quello che ci avrebbe consentito di accedere alla zona di demarcazione militare. Il mio sogno esplode come una gigantesca bolla di sapone. Ed ecco che ci rimettiamo in pista, chiedendo l’aiuto del maragià. Dopo quattro giorni di attesa decido di cambiare location e alla fine – non senza un ulteriore sforzo logistico – dirotto tutto e tutti verso un haveli, una magnifica abitazione tradizionale. E così si tirano a lucido altri 3000 metri quadri, si ricollegano i cavi elettrici, si ritrasportano tonnellate di apparecchiature negli stretti vicoli di Jaisalmer fino a raggiungere la nuova location. E a quel punto montiamo l’attrezzatura, con tanto di black box da studio fotografico con Beauty Dish di Profoto sull’apposito supporto, e una bella portrait light con altri due Strip di Profoto e due luci da background per lo sfondo colorato. Quindi allestiamo i set e con fatica illuminiamo anche quelli, soprattutto scomponiamo le immagini: prima puntiamo le luci sulla modella, poi sulla location. Ovviamente scattiamo sempre su un treppiede, per poi comporre l’immagine in un secondo momento. Il quinto giorno scatto la prima foto con la nuovissima Lumix S1R, un prototipo ancora top secret in quel momento. È un vero e proprio strumento da lavoro, contraddistinto da un’incredibile maneggevolezza. Con l’obiettivo 50 mm F1.4 mi sembra di avere in mano una fotocamera di medio formato. Con questo apparecchio ho subito la sensazione che l’epoca delle reflex sia sulla via del tramonto. Stringo tra le mani una nuova generazione di perfezione e innovazione, l’autofocus sugli occhi diventa il mio principale alleato nella composizione dei ritratti: amo la messa a fuoco manuale, ma comporta sempre un minimo rischio, perciò uso entrambe le modalità in maniera alternata. È stato davvero entusiasmante contribuire alla nascita della campagna globale per Lumix S1R. Siamo riusciti a scattare soltanto per due mezze giornate. Invece delle 50 proposte previste per la galleria, ho realizzato cinque immagini di livello superiore. Il mio primo servizio fotografico in India ha segnato il superamento di un confine – sul piano mentale – rispetto al carico di lavoro e alla logistica complessiva. Eppure questo shooting mi ha fatto maturare tantissimo: è stata un’impresa titanica, ma alla fine ho vinto io. Testo e foto: Kai Stuht https://kai-stuht.org/ |
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